Community:Opuscolo informativo

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This content is an adapted version of Information Booklet.
This content is contextualized and curated by Global Assembly's community.

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Introduzione

La Global Assembly è una riunione di persone provenienti da tutto il mondo per discutere della crisi climatica ed ecologica.

Cos’è una citizens’ assembly?

La citizens’ assembly è composta da un gruppo di persone con diversi percorsi di vita. Si riunisce ai fini di informarsi su un determinato argomento, deliberare su possibili modi per attivarsi, presentare proposte a governi e leader e generare idee per stimolare un cambiamento più ampio. Questa assemblea rappresenta una miniatura del luogo in questione (per esempio, un paese o una città, o in questo caso il mondo), secondo criteri demografici quali genere, età, reddito e livello di istruzione.

Cos’è la Global Assembly?

La Global Assembly del 2021 è composta da:

  • la Core Assembly, che è l'assemblea composta da 100 cittadini provenienti da tutto il mondo compresa l’Italia;
  • assemblee nelle comunità locali che si potranno tenere ovunque;
  • attività culturali per coinvolgere il maggior numero di persone.

Nel corso di quest'anno, ci saranno due importanti conferenze delle Nazioni Unite, dove si riuniranno le/i leader mondiali: la Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici (COP26) e la Conferenza della Biodiversità (COP15).

In vista di queste trattative della COP26, la Core Assembly sta riunendo un gruppo di 100 persone, che rappresentano una sorta di fotografia della popolazione del pianeta. Il loro compito è di approfondire la propria comprensione della crisi climatica ed ecologica, deliberare e selezionare i messaggi chiave da presentare alla COP26 di Glasgow nel novembre 2021. Quest'anno, la Global Assembly delibererà sulla seguente domanda: “Come può l'umanità affrontare la crisi climatica ed ecologica in modo etico ed efficace?"

Introduzione ai materiali di apprendimento

Questo opuscolo informativo fa parte di una serie di risorse che sosterranno la fase di apprendimento e deliberazione della Global Assembly. Lo scopo di questi materiali didattici è quello di fornire informazioni e dati in modo da poter formare le proprie opinioni sulla crisi climatica ed ecologica.

La nostra speranza è che questo documento sia un trampolino per individuare linee di ricerca da poter esplorare magari anche negli anni a venire. Vi incoraggiamo attivamente a esaminare tutti gli elementi contenuti in questo documento e a portare ogni domande o riflessione alla Global Assembly.

La crisi climatica ed ecologica è un tema complesso. È il risultato di molti fattori storici, sociali, economici e politici interconnessi. Anche se a volte può sembrare un problema molto recente, le sue radici risalgono almeno a due secoli fa e coinvolgono molte generazioni.

Questo opuscolo è un'introduzione ad alcuni dei temi più importanti connessi alla crisi climatica ed ecologica. Per creare questi materiali, un comitato di esperti si è riunito per mettere a disposizione la propria conoscenza e saggezza. I dettagli sul processo di redazione di questo documento informativo sono disponibili sul sito web della Global Assembly.

Ci sono molti capitoli aperti sulla crisi climatica ed ecologica; noi abbiamo fatto del nostro meglio per fornire un quadro sui temi, i fatti e le cifre principali in modo conciso e leggibile.

Non è necessario leggere subito tutto il fascicolo. Il materiale è stato organizzato come una guida di riferimento. Ci auguriamo che sia utile per il vostro lavoro durante la Global Assembly e che agevoli l’apprendimento e la presa di decisione sui temi della crisi climatica ed ecologica.

Per completare questo opuscolo informativo saranno disponibili sul sito web della Global Assembly ulteriori risorse come: video, presentazioni animate, creazioni artistiche e testimonianze di esperienze vissute. Sul wiki della Global Assembly saranno disponibili traduzioni di questo opuscolo informativo in diverse lingue e riferimenti ai contesti nazionali. Un Glossario alla fine del documento fornisce il significato più preciso delle parole evidenziate in grassetto. Quando nel documento sono indicate delle temperature, le misure sono in gradi centigradi (°C).

Sintesi

Prima parte

Che cos’è la crisi climatica?

In questa sezione esploriamo il fenomeno dei “cambiamenti climatici”. Che cosa sono? Che cosa li sta causando? Perché il problema è urgente?

I cambiamenti climatici sono legati al riscaldamento a lungo termine del pianeta. Ciò accade perché grandi quantità di gas a effetto serra vengono rilasciate in atmosfera.

L'atmosfera è uno strato invisibile che circonda la Terra e contiene molti differenti gas. I “gas a effetto serra” sono un gruppo specifico di gas in grado di modificare il bilancio termico dell'atmosfera e riscaldare la Terra. Tra i principali gas a effetto serra ci sono l'anidride carbonica (prodotta dall'uso di combustibili fossili e dalla deforestazione), il metano e gli ossidi di azoto (entrambi frutto della produzione di energia elettrica e dall'agricoltura).

Un modo di rappresentare la relazione tra i gas atmosferici e la temperatura è immaginarsi una piccola stanza chiusa in una giornata molto calda. Il sole picchia direttamente sul tetto e dentro la stanza non ci sono né porte né finestre da aprire per far uscire il caldo. Non avendo via di fuga, la temperatura nella stanza aumenta. Allo stesso modo, in atmosfera si genera del calore in eccesso quando la quantità dei gas serra presenti è troppo alta. Il principale gas a effetto serra è l’anidride carbonica (CO2). Le attività umane hanno anche degradato o distrutto molte parti della Natura, come le foreste e i suoli, che la rimuovono dall'atmosfera. Da quando la gente nei Paesi più ricchi iniziò a bruciare combustibili fossili, circa 200 anni fa, le temperature superficiali in tutto il mondo sono salite di circa 1,2°C[1]. Sebbene non sembri molto, gli ultimi 20 anni sono stati il periodo più caldo registrato negli ultimi 100mila anni[2].

La differenza di temperatura di 1,2°C sembra piccola ma sta già avendo impatti significativi sulla vita di molte persone. Un innalzamento delle temperature comporta che la gente sta già soffrendo per ondate di calore più frequenti e intense, le foreste bruciano più facilmente e i raccolti sono diminuiti. Implica anche grandi cambiamenti nel regime delle piogge, con molta più pioggia in alcune zone e meno in altre[2], questo causa allagamenti e siccità.

Alluvioni, siccità, ondate di calore e fenomeni meteorologici estremi avvenivano anche prima di questi cambiamenti climatici, ma la climatologia ci avverte che i cambiamenti climatici renderanno questo tipo di eventi più probabili o intensi. Milioni di persone in ogni parte del mondo rischieranno di perdere la propria casa, essere uccisi o feriti, non avere abbastanza cibo o acqua potabile da bere.


Che cos'è la crisi ecologica?

Che impatto stanno avendo le attività umane sulle altre specie con le quali condividiamo il pianeta? In questa sezione vedremo come mai la biodiversità è così importante per la salute e lo sviluppo umano e il ruolo delle comunità indigene in diverse zone della Terra.

Gli esseri umani sono parte di una rete di relazioni vitali che si estende ben oltre la nostra sola specie. La salute umana è finemente interconnessa con la salute delle piante, degli animali e dell'ambiente che condividiamo. Diverse specie di piante e animali si stanno estinguendo come risultato delle modalità con cui gli esseri umani, specialmente quelli delle nazioni più ricche, stanno interagendo con la natura. Il ritmo delle estinzioni che avvengono oggi è molto più rapido rispetto a quanto avvenuto nel resto della storia umana.[3]

La biodiversità si riferisce a tutte le varietà di forme di vita che possono trovarsi sulla Terra: piante, animali, funghi e microorganismi. Ogni singola specie ha una funzione da compiere per la salute dell'ecosistema. Se la specie scompare, il funzionamento dell’ecosistema risente del suo contributo mancante e si può inceppare. Si stima che al mondo esistano otto milioni di specie viventi. Oggi un milione di esse sono a rischio di estinzione per via di inquinamento, cambiamenti climatici, introduzione di specie aliene, perdita di habitat e sfruttamento sopra le capacità di recupero del sistema. (Per esempio: la cattura non sostenibile di pesci ancora troppo giovani per essersi potuti riprodurre con successo).

L’Italia è il peggiore tra tutti i Paesi europei e tra i Paesi del G20 (a eccezione del Giappone) per quanto riguarda la quota di pesce prelevato da stock ittici collassati o sovra sfruttati.[4]

Le cause della perdita di biodiversità globale sono molteplici. Le foreste in diverse parti del mondo ospitano la maggioranza delle specie di alberi, uccelli e mammiferi. Ogni anno, purtroppo, enormi estensioni di foreste sono abbattute. Il terreno viene destinato a coltivazioni agricole o altri usi esclusivamente riservati all'uomo.[5]

L'agricoltura e il sistema di produzione del cibo sono una delle maggiori cause della perdita di biodiversità. L'agricoltura, da sola, ha portato 24mila specie a rischio di estinzione.[6]

Attualmente nel mondo l'intera catena di produzione del cibo si basa su pochissime specie di piante commestibili.[7] Negli ultimi secoli c'è stato un grande sforzo per produrre sempre più cibo spendendo il meno possibile. I costi sono stati fatti pagare all'ambiente. La produzione agricola intensiva ha forzato il suolo a produrre a tal punto che esso sta perdendo nel tempo la sua fertilità naturale.[8]

Attualmente la produzione di cibo dipende pesantemente da fertilizzanti, pesticidi, energia, terreni e acqua. Tutti questi elementi sono necessari per coltivare (contro natura, in modo insostenibile) una sola pianta in modo intensivo. Lo sforzo di coltivare un solo tipo di pianta, invece di ospitare una naturale biodiversità di organismi, indebolisce l'ecosistema. La monocoltura intensiva distrugge gli habitat di molti uccelli, mammiferi, insetti e altri organismi, privandoli delle risorse necessarie a nutrirsi, accoppiarsi e riprodursi.[8] Gli ecosistemi in cui manca la giusta biodiversità sono più deboli, più sensibili alle malattie e reagiscono peggio agli eventi atmosferici. Essi, inoltre, non sono in grado di contrastare i parassiti con i loro predatori e, quindi, non possono nemmeno provvedere adeguatamente alle necessità e al benessere degli esseri umani.[3]

La Pianura Padana è in uno stato di pre-desertificazione perché il suolo è stato arato e concimato troppo. Le piogge hanno poi portato via sia la parte utile del terreno sia i prodotti chimici sparsi sui campi. Queste perdite hanno poi creato problemi nei fiumi e nei laghi che ricevevano troppi fertilizzanti, insetticidi e fango.

In Italia, inoltre, si perdono molti suoli naturali o agricoli quando al loro posto si costruiscono edifici o infrastrutture. Il consumo di suolo annuo in Italia ha un andamento complessivamente stabile nel tempo. Se tale andamento dovesse essere confermato fino al 2050, l’Italia non sarebbe in grado di raggiungere il target europeo.[4]

Molte medicine usate per curare malattie come il cancro sono di origine naturale o sintetizzate in laboratorio prendendo spunto da sostanze trovate in natura. Perdere la fonte di queste cure mette a rischio la nostra capacità di curarci.[3]

La popolazione mondiale aumenta di numero anno dopo anno. Questo significa che sempre più persone dovranno estrarre dall'ambiente le risorse per soddisfare i propri bisogni essenziali. Nei prossimi decenni si prevede che la perdita di biodiversità diventerà sempre più rapida e intensa. Questo succederà a meno che non si attuino azioni efficaci e urgenti per fermare e invertire le tendenze al degrado degli ecosistemi e limitare i cambiamenti climatici. L'urgenza e la gravità della situazione attuale sono le ragioni per cui parliamo di crisi.

Il ruolo delle popolazioni indigene nella conservazione della biodiversità

In generale, i trend di conservazione della biodiversità sono migliori nelle aree possedute o gestite da popolazioni indigene e comunità locali di stampo tradizionale.[9]

Si stima che nel mondo ci siano più di 370 milioni di persone appartenenti a popolazioni indigene, distribuite in 70 Paesi. Le popolazioni indigene proteggono l'80% della biodiversità della terraferma[10] pur essendo solo il 5% della popolazione mondiale.[11] Per esempio a Cusco, in Perù, una comunità di Quechua attualmente conserva più di 1400 varietà originali di patate.[12]

La patata è una delle piante alimentari più importanti al mondo. Senza questo lavoro di protezione e salvaguardia, molte di queste varietà potrebbero essersi già estinte.

Vivere in modo responsabile e armonioso, trattando la Natura con rispetto, fa parte dei valori fondamentali delle culture indigene. Questi valori sono spesso diversi da quelli delle società dominanti in cui questi popoli oggi vivono. I popoli indigeni abitavano un Paese o una regione geografica prima dell'arrivo e dell'insediamento di gente di cultura o etnia differente. I nuovi arrivati sono poi diventati dominanti attraverso la conquista, l'occupazione, la colonizzazione o altri mezzi. I popoli indigeni sono diffusi in tutto il mondo, dall'Artico al Pacifico meridionale.[13] Ci sono ancora moltissime specie di piante, animali e insetti che sono sconosciute o poco studiate dalla scienza. Buona parte di questa biodiversità probabilmente esiste in territori noti a popolazioni indigene. Le culture tradizionali sono riuscite a vivere in armonia con la Natura per millenni. Esse posseggono sapienza indispensabile per conservare o recuperare ecosistemi danneggiati e coltivare la biodiversità.[14]

Nonostante questa potenzialità, le popolazioni indigene hanno dovuto abbandonare i loro territori d'origine e le loro fonti di sussistenza. Lo hanno dovuto fare per colpa di progetti di sviluppo a grande scala (per esempio le valli allagate dalle mega dighe). In altri casi interi popoli sono diventati rifugiati climatici per colpa dei cambiamenti climatici.[15] Per esempio in Alaska, dove si concentra la maggior presenza di popolazioni indigene degli Stati Uniti d’America, alcune comunità si sono già trasferite. I motivi che le hanno spinte sono l’innalzamento del livello del mare e le distruzioni dovute agli incendi boschivi.[16]

I popoli indigeni vivono in condizioni di povertà estrema tre volte più frequentemente delle genti che si sono insediate nei loro territori.[17] Questa situazione è frutto di secoli di marginalizzazione e colonizzazione.

La crisi della biodiversità è strettamente legata ai destini di queste culture uniche e particolari, ai loro sistemi di trasmissione e applicazione del sapere, ai loro linguaggi e alle loro identità.

Perché ci troviamo in una situazione di crisi climatica ed ecologica?

In questa sezione vedremo come alcuni modi di concepire il mondo, dominanti nei secoli passati, hanno modellato un atteggiamento nei confronti della Natura che ha portato alla crisi climatica ed ecologica di oggi.

Le crisi del clima e della biodiversità sono un problema complesso e il risultato di diversi disaccordi politici, economici e sociali che si alimentano a vicenda. Tra i fattori che aumentano le difficoltà nell’affrontare questa sfida ci sono alcune “visioni del mondo” che hanno portato alla crisi.

Una visione del mondo è come un paio di occhiali che usiamo per guardare il mondo attorno a noi. La nostra visione del mondo è tinta con i nostri valori e modellata sulle nostre credenze. Essa, inoltre, influisce sul nostro modo di ragionare e plasma le nostre aspettative sul funzionamento del mondo. Assorbiamo una parte della nostra visione del mondo dalla nostra famiglia di origine e dalle esperienze che facciamo crescendo. Una seconda parte viene dall’ambiente culturale che frequentiamo da adulti perché ne condividiamo valori e motivazioni. Questo bagaglio accumulato negli anni ha un effetto su come interpretiamo il mondo e sulle scelte alla base delle nostre azioni. Oggigiorno si usa spesso il termine “crescita economica” come indicatore di progresso e per segnalare che gli standard vitali stanno migliorando. Purtroppo, il concetto di crescita economica è spesso associato a una visione del mondo in cui gli esseri umani dominano e sfruttano la Natura.[18] Questa visione del mondo risiede nel cuore di molte nazioni fortemente inquinanti e si pensa che le radici di questa mentalità affondino nel passato.

Quattrocento anni fa ci fu una svolta nel pensiero umano nota come rivoluzione scientifica. Gli intellettuali del tempo erano convinti che l’uomo fosse superiore alla natura.[19] Essi scrissero nelle loro opere che gli uomini avevano il diritto di dominare la Natura per farne ciò che volevano. Le idee che nacquero in quel periodo si diffusero e influenzarono pesantemente i secoli a venire. Gli effetti di quel modo di pensare sono ancora oggi ben visibili nelle leggi, tecnologie, stili di vita, abitudini e culture dei Paesi più ricchi. Molti di questi stili di vita si sono diffusi o sono stati imposti anche ad altri Paesi del mondo.

Gli avanzamenti scientifici e tecnologici scaturiti dalla rivoluzione industriale hanno allontanato la gente che vive nei Paesi ricchi dalla Natura, allentando le dipendenze dirette con i sistemi e i ritmi naturali. Milioni di persone si trasferirono nelle città e iniziarono a lavorare nelle catene di montaggio delle fabbriche azionando delle macchine. Abbandonarono le campagne dove si coltivava la terra o i piccoli borghi dove si costruivano oggetti con attrezzi manuali. In quel periodo, alcune tecnologie innovative come le macchine a vapore, le automobili e l’illuminazione elettrica trasformarono rapidamente le vite delle persone. Avvenne quasi come oggi i telefoni cellulari e i computer connessi a Internet hanno modificato le nostre abitudini rispetto a 50 anni fa.

Alcuni cambiamenti tecnologici hanno indubbiamente portato benefici alla gente, per esempio rendendo disponibili le cure della medicina moderna. In altri casi, però, le nuove tecnologie resero possibile dominare la Natura ed estrarne risorse in una maniera che prima non era possibile.

La rivoluzione industriale permise l’estrazione di combustibili fossili (carbone e petrolio) a una scala prima inimmaginabile. Negli ultimi 100 anni il principale modo in cui abbiamo prodotto energia è stato bruciando combustibili fossili. Questa energia ha guidato la crescita economica. La conseguenza di questa scelta è che Nazioni ricche come Stati Uniti d’America e Unione Europea hanno immesso in atmosfera la maggior parte dei gas a effetto serra prodotti dall’uomo nel corso della storia.[20]

Oggi ci sono Nazioni come Cina e India che stanno seguendo lo stesso modello di sviluppo dei Paesi più ricchi. Ogni anno sempre più persone diventano dipendenti dalla combustione di risorse fossili.[20] Oggi il Paese che emette più gas a effetto serra al mondo è la Cina,[21] con la sua economia in rapida crescita e la sua numerosa popolazione. Storicamente, però, il maggior contributo alle emissioni lo hanno dato gli Stati Uniti d’America. Gli USA hanno avuto più anni di tempo per accumulare emissioni[22] e ancora oggi hanno il primato delle maggiori emissioni di CO2 a persona.[23]

Le crisi climatiche ed ecologiche sono un problema molto sfaccettato. È impossibile isolare una singola causa alla loro origine o un solo motivo per il quale non è stato ancora possibile risolverle. Inoltre, è molto complicato per la gente comune comprendere sia la scala che le conseguenze delle crisi. Questa difficoltà limita fortemente la possibilità che le persone agiscano con la decisione e l’urgenza che sono necessarie. Gli stili di vita che danneggiano la Natura ed emettono grandi quantità di gas a effetto serra sono profondamente radicati nelle società moderne. Alcuni hanno evidenziato come le crisi ecologica e climatica possano essere un problema di relazione tra l’uomo e la natura. Per evolvere in un futuro più sostenibile forse dovremmo “far pace”[3] con la Natura e adeguare di conseguenza i nostri sistemi economici, finanziari e produttivi.[3]

Nel 2021 un gruppo di ricercatori ha identificato nove motivazioni, tra loro interconnesse, che potrebbero spiegare il nostro fallimento collettivo nell’affrontare i problemi ecologici e climatici degli ultimi 30 anni. La loro conclusione è che prima di affrontare i dettagli climatici ed ecologici sia necessario mettere in discussione proprio gli atteggiamenti mentali con cui guardiamo alla Natura, le visioni del mondo alla base del pensiero delle società ricche e industrializzate.[24]

Gli esseri umani sono animali dal punto di vista biologico e il pianeta Terra è il nostro habitat. Siamo parte della Natura e dipendiamo dal suo funzionamento per la nostra sopravvivenza,[18] non siamo separati da essa. Abbiamo, per esempio, dei microrganismi nella nostra pancia che ci aiutano a digerire e altri che fanno parte della nostra pelle. Api e vespe impollinano i fiori dei nostri alberi da frutto. Alberi e alghe assorbono la CO2 che noi espelliamo e producono l’ossigeno di cui abbiamo bisogno per respirare.[18]

Si parla dei problemi connessi ai cambiamenti climatici già da parecchi decenni. Nonostante tutto questo tempo a disposizione, le società benestanti non sono ancora riuscite a immaginarsi degli stili di vita desiderabili e sostenibili. Ancora oggi queste società sono dipendenti dall’abuso di combustibili fossili, e necessitano di misurare lo sviluppo e il progresso con la crescita economica.[24]

Un ambiente naturale sano è indispensabile per una economia sostenibile. È ormai opinione diffusa e accettata che la produzione economica, conteggiata come Prodotto Interno Lordo (PIL), debba essere affiancata da una misura di ricchezza più inclusiva che tenga conto anche del capitale naturale quando si voglia misurare il benessere di uno Stato. Esaminare attentamente lo stato di salute dell’ambiente naturale permette di valutare con più accuratezza se una politica economica nazionale è sostenibile per i giovani di oggi e per le future generazioni.

Negoziati internazionali

I leader mondiali si incontreranno sia a Glasgow alla fine di quest'anno per parlare dei cambiamenti climatici, che in Cina per discutere della crisi ecologica. In questa sezione impariamo quali sono gli obiettivi di questi negoziati e quali risultati sono stati raggiunti finora.

A) Cosa hanno ottenuto finora i negoziati sul clima?

Gli scienziati hanno previsto i cambiamenti climatici indotti dall'uomo decenni fa. La firma della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC) a Rio de Janeiro risale al 1992. Le Conferenze delle Parti (COP) si sono tenute ogni anno, a partire dal 1995. Lo scopo delle conferenze è quello di discutere cosa fare per i cambiamenti climatici e di proporre le misure che gli Stati partecipanti devono adottare per affrontarli.[25]

Nel 2015, i leader mondiali si sono incontrati a Parigi per la COP21. I risultati di quella conferenza sono stati che, per la prima volta, i leader mondiali hanno raggiunto un accordo su un'azione su larga scala sui cambiamenti climatici. 196 Stati partecipanti in tutto il mondo hanno concordato di limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C, preferibilmente 1,5°C.[26] Quasi tutti i Paesi si sono impegnati con un "contributo determinato a livello nazionale" (Nationally Determined Contribution, NDC) a limitare le loro emissioni di gas serra e a ridurre il loro contributo ai cambiamenti climatici. Questi impegni devono essere aggiornati ogni cinque anni.

Ci sono due obiettivi associati alla limitazione dei cambiamenti climatici nell'Accordo di Parigi:

  1. Limitare il riscaldamento globale a un massimo di 2°C entro la fine del secolo (2100), e preferibilmente restare sotto 1,5°C.
  2. Raggiungere zero emissioni nette entro il 2050.

Se saremo in grado di ridurre significativamente le emissioni di gas serra a livello globale entro il 2030, la fase successiva per i Paesi sarebbe raggiungere “zero emissioni nette" entro il 2050. Zero emissioni nette significa rimuovere i gas serra dall'atmosfera alla stessa velocità con cui li emettiamo. Potremmo anche, semplicemente, eliminare del tutto le emissioni.[27][28] Alcuni sistemi naturali come foreste, suolo e oceano sono in grado di rimuovere CO2 dall'atmosfera. Gli esseri umani non hanno ancora sviluppato completamente tecnologie efficaci di cattura del carbonio.

Negli ultimi anni...

  • Le emissioni di CO2 della Cina sono aumentate dell'80% tra il 2005 e il 2018. Si prevede che continueranno ad aumentare per il prossimo decennio, dato il tasso di crescita economica previsto.[23]
  • L'UE e i suoi Stati membri sono sulla buona strada per ridurre le emissioni di gas serra del 58% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030.[23]
  • Le emissioni dell'India sono aumentate di circa il 76% tra il 2005 e il 2017. Le emissioni dell'India, come quelle della Cina, dovrebbero continuare ad aumentare fino al 2030 a causa della crescita economica.[23]
  • La Federazione Russa, il quinto più grande emettitore di gas a effetto serra, ha presentato i suoi primi NDC nel 2020 e si impegna a ridurre le emissioni del 30% entro il 2030.[29]
  • Gli Stati Uniti d’America hanno preso l'impegno di ridurre le emissioni del 50-52% entro il 2030, considerando i livelli del 2005, anno in cui le loro emissioni hanno raggiunto il picco massimo.

Presi insieme, gli NDC determinano se il mondo raggiungerà o meno gli obiettivi a lungo termine dell'Accordo di Parigi.[30] Se tutti gli attuali obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra fossero raggiunti - e non sappiamo ancora se lo saranno - è probabile che questo comporterà almeno 3°C di riscaldamento globale. L'obiettivo dell'Accordo di Parigi del 2015 di limitare il riscaldamento ben al di sotto di 2°C rimarrà nella carta.[31]

Poiché gli attuali NDC non sono sufficienti per raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi, ogni cinque anni le Nazioni presentano nuovi NDC all'ONU. L'intenzione è che ogni Paese diventi più ambizioso nei suoi obiettivi, sulla base degli obiettivi dell'Accordo di Parigi. Ogni Paese stabilisce obiettivi diversi. Per esempio, l'UE si è impegnata a ridurre le sue emissioni di gas serra del 55% entro il 2030[32] e il Regno Unito del 78% entro il 2035.[33] La Francia e il Regno Unito sono tra i Paesi che hanno reso il raggiungimento dello zero netto entro il 2050 un requisito legale. Il Giappone, il Sudafrica, l'Argentina, il Messico e l'UE hanno tutti annunciato obiettivi per raggiungere lo zero netto entro il 2050.[34] La Cina si è impegnata a raggiungere il "picco delle emissioni" entro il 2030 prima di passare allo zero netto entro la fine del 2060.[34]

Dopo Parigi, alcuni progressi sono già stati fatti. Tuttavia le cose non si stanno muovendo abbastanza velocemente. Una recente analisi delle Nazioni Unite ha concluso che se anche le Nazioni rispettassero tutti gli NDC, ci sarebbe comunque un innalzamento di temperatura di 2,7°C entro la fine del secolo.[35]

Al ritmo attuale, il riscaldamento raggiungerà 1,5°C entro il 2040 circa - forse prima[3] - e continuerà ad aumentare se non si agisce ora. Prove scientifiche hanno dimostrato che i rischi associati a un aumento di 2°C della temperatura globale sono più alti di quanto si fosse capito in precedenza.[3]

Dopo la COP21, due rapporti dell’IPCC nel 2018 e nel 2021 hanno sottolineato che la differenza tra 1,5°C e 2°C di riscaldamento sarà la perdita di vite e mezzi di sussistenza per milioni di persone,[36] con conseguenze ancora più negative per livelli più alti di riscaldamento.

La ricerca ha mostrato come le compagnie di combustibili fossili hanno fatto pressioni per indebolire le politiche climatiche in tutto il mondo. Hanno continuato a farlo pur dicendo di sostenere l’Accordo di Parigi. Il lobbismo politico a protezione degli interessi dei combustibili fossili spiega anche perché l'Accordo di Parigi non menziona esplicitamente la decarbonizzazione o la riduzione dell'uso dei combustibili fossili. L'evidenza scientifica, invece, raccomanda caldamente di lasciare la maggior parte dei combustibili fossili nei giacimenti, per limitare il riscaldamento globale a 1,5-2°C.[24]

Inoltre, molti Paesi esportatori di combustibili fossili hanno ostacolato il processo decisionale bloccando i negoziati, esacerbando le tensioni politiche ed evitando qualsiasi riferimento ai combustibili fossili come causa principale dei cambiamenti climatici. I Paesi ricchi di riserve di combustibili fossili, come l'Arabia Saudita, gli Stati Uniti d’America, il Kuwait e la Russia si sono particolarmente distinti per aver ostacolato i negoziati e contestato la scienza sui cambiamenti climatici.[24]

I Paesi ricchi non sono riusciti a dare un buon esempio nell'affrontare i cambiamenti climatici, sia nel raggiungere tagli significativi alle emissioni che nel fornire finanziamenti adeguati e prevedibili. L'incapacità delle Nazioni più ricche di aprire la strada nell’affrontare questo problema ha creato sfiducia, permettendo a gruppi di interesse come l'industria dei combustibili fossili di prendere piede in alcuni Paesi in via di sviluppo e quindi di radicare ulteriormente lo sviluppo ad alto contenuto di carbonio, piuttosto che le alternative a basso contenuto di carbonio.[24]

La mancanza di un'azione rapida e decisiva sui cambiamenti climatici genererà costi finanziari significativi per i governi di tutto il mondo. Ci sono stime che i fenomeni meteorologici estremi come risultato dei cambiamenti climatici indotti dall'uomo potrebbero costare 2 miliardi di dollari al giorno entro il 2030. Oltre ai costi, gli eventi e i sistemi meteorologici continueranno a cambiare e influenzeranno negativamente la salute umana, i mezzi di sussistenza, il cibo, l'acqua, la biodiversità e la crescita economica.[23]

B) Cosa hanno ottenuto finora i negoziati sulla biodiversità?

La biodiversità ha un importante valore economico, biologico e sociale, ma per molto tempo ne abbiamo considerato solo il valore economico di mercato.

Le Nazioni Unite hanno stilato la Convenzione sulla Diversità Biologica (CDB) a Rio De Janeiro nel 1993. La convenzione ha riconosciuto, per la prima volta nel diritto internazionale, che la conservazione della biodiversità è una "preoccupazione comune per l'umanità".[37] La convenzione riguarda ecosistemi, specie e risorse genetiche, come i semi.

Nel 2010, le Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (CDB) hanno adottato il Piano Strategico per la Biodiversità 2011-2020. Il Piano è un quadro decennale per proteggere la biodiversità e i benefici che fornisce alle persone. Come parte del piano strategico, le Nazioni Unite hanno adottato 20 obiettivi ambiziosi ma realistici[3], noti come gli Aichi Biodiversity Targets.

Tuttavia, non abbiamo pienamente raggiunto nessuno degli Aichi Biodiversity Targets entro la scadenza del 2020. Le analisi mostrano che i progressi per la maggior parte degli obiettivi volti ad affrontare le cause della perdita di biodiversità sono stati moderati o scarsi. Di conseguenza, lo stato della biodiversità continua a peggiorare.

Nel 2021, avrà inizio la parte on line della 15a Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD COP15) a Kunming, in Cina. La conferenza si concluderà in presenza, nel 2022, per concordare un nuovo quadro per la biodiversità, con una serie di obiettivi e traguardi.

Oltre alla Convenzione sulla Diversità Biologica ci sono altre cinque convenzioni legate alla biodiversità. Esse sono:

  • La Convenzione di Ramsar sulle Zone Umide di Importanza Internazionale.
  • La Convenzione sulle Specie Migratorie (CMS).
  • La Convenzione sul Commercio Internazionale delle Specie Minacciate di Estinzione (CITES).
  • Il Trattato Internazionale sulle Risorse Fitogenetiche e per l'Alimentazione e l'Agricoltura (ITPGRFA).
  • Il Trattato sull’Agricoltura e la Conservazione del Patrimonio mondiale.

Nonostante queste numerose conferenze internazionali sulla perdita di biodiversità, non abbiamo ancora raggiunto nessuno degli obiettivi degli accordi internazionali.[3]

È vitale che i governi inizino a riconoscere le interazioni tra i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità, e sviluppino obiettivi, traguardi e azioni reciprocamente compatibili.

Qual è l'impatto dei cambiamenti climatici e della crisi ecologica su...

In questa sezione daremo una rapida occhiata all’impatto e alla dimensione delle conseguenze che i cambiamenti climatici e la crisi ecologica stanno avendo e avranno sulla salute umana, le risorse vitali, gli ecosistemi e la biodiversità in varie regioni del mondo. Questi effetti saranno più o meno gravi a seconda dell’incisività delle azioni che faremo oggi.

… la salute umana e fonti di sostentamento

I cambiamenti climatici sono dannosi per la salute umana. Questo effetto nocivo è dovuto allo stress climatico[38] e si manifesta in un rischio maggiore di danni fisici come malattie, malnutrizione, ferite e morte. Sono gli eventi meteorologici estremi come siccità, ondate di calore, alluvioni e trombe d’aria che provocano questi danni.[39] Quanto più l’atmosfera si scalda, tanto più aumenteranno i rischi legati a questi fenomeni. Dei cambiamenti nelle caratteristiche del tempo meteorologico possono aumentare la diffusione di malattie infettive. Ci sono malattie che gli animali possono trasmettere all’uomo, come per esempio la malaria o la dengue diffuse dalle zanzare. I rischi connessi a queste malattie aumenteranno già quando la temperatura mondiale salirà di 1,5- 2°C. In uno scenario in cui l’aumento di temperature sarà maggiore, si espanderanno anche le aree in cui il contagio sarà possibile.[38] Per esempio, la malattia di Lyme (trasmessa dalle pulci) non colpiva nelle regioni con un inverno molto freddo. Oggi alcuni studi mostrano che i cambiamenti climatici la stanno portando fino al Canada,[40] salendo verso Nord di quasi 50 Km ogni anno.

Le pandemie possono essere contenute al minimo usando un approccio “one-health”, ovvero che tenga conto di diverse discipline e delle relazioni tra uomini e ambiente. Ci sono malattie che gli animali possono trasmettere agli esseri umani, come il Covid-19. Possiamo prevenire la loro diffusione limitando le interazioni tra uomini e animali selvatici e quelli tra animali domestici e selvatici. In questo tipo di approccio sistemico servono professionisti con un ampio spettro di competenze ed esperienze in campi come salute pubblica, veterinaria, patologia vegetale e dinamiche ambientali. Quando questi esperti uniscono gli sforzi otteniamo migliori risultati di salute pubblica.[41] Questo approccio può essere usato per prevenire futuri casi disastrosi di zoonosi pandemica ed evitare gli errori che hanno portato al diffondersi del Covid-19.

Possiamo proteggere le piante che serviranno alla ricerca medica e ridurre il rischio di disastrose pandemie zoonotiche. Per farlo, dobbiamo arrestare il degrado degli ambienti naturali come le deforestazioni e riportare gli ecosistemi alle loro condizioni di funzionamento ottimali. I cambiamenti climatici hanno un impatto sulla crescita economica in tutte le regioni. I Paesi che si trovano nei tropici e nelle zone subtropicali dell’emisfero sud subiranno i danni maggiori già con un innalzamento delle temperature limitato a 1,5 o 2°C.[38] Le conseguenze in caso di scenari peggiori saranno ancora più gravi.

Molte persone vivono in queste zone particolarmente sensibili del mondo. Esse già nel 2015 hanno sperimentato un aumento delle temperature di 1,5°C in almeno una stagione dell’anno.[38] Le conseguenze dei cambiamenti climatici gravano in modo sproporzionato sui più poveri e più vulnerabili. Riuscire a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, invece di arrivare a 2°C, significa ridurre di molto il numero di persone esposte. Potremmo proteggere dai rischi dei cambiamenti climatici diverse centinaia di milioni di persone entro il 2050.[38]

Vediamo sempre più casi di migrazioni umane innescate da problemi climatici.[3] L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati riferisce che gli apolidi e le persone costrette ad abbandonare la propria casa e trasferirsi all’estero o in altre zone della propria nazione sono quelle che soffriranno di più per la crisi climatica.[42] Molte persone vivono in zone a rischio dove normalmente mancano le risorse per adeguarsi a un ambiente che diventa via via sempre più ostile. Una media di 20 milioni di persone deve lasciare le proprie case ogni anno per cercare rifugio altrove.[42][43] Lo fanno per i danni che risultano dall’intensificarsi in frequenza e gravità dei fenomeni meteorologici estremi come piogge insolitamente abbondanti, siccità prolungate, desertificazione, degrado ambientale, innalzamento del livello del mare o cicloni. Alla fine del 2020 circa sette milioni di persone in 104 diversi Stati e territori del mondo vivono in alloggi di fortuna. Questa precarietà deriva da un disastro avvenuto nel 2019 o negli anni precedenti.[44] Gli Stati con il maggior numero di rifugiati interni per disastri (che si sono spostati cioè da una regione a un’altra dello stesso Stato) sono l’Afghanistan (1,1 milioni), l’India (929 mila), l’Etiopia (633 mila) e il Sudan (454 mila).[44] Nel 2017 circa 1,5 milioni di statunitensi si sono trasferiti a causa di un disastro naturale, temporaneamente o definitivamente, in altre parti del Paese.[44]

… la sicurezza alimentare?

Una situazione di sicurezza alimentare si ha quando tutti, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico a fonti di cibo sufficienti, sicure e nutrienti. Questo cibo deve soddisfare le preferenze alimentari e necessità dietetiche delle persone. Gli alimenti devono sostenere una vita attiva e sana.[45] Se, invece, il cibo costa troppo, non si trova in vendita in certe zone o sparisce dai mercati in certi mesi per essere sostituito da altri alimenti di qualità scadente, non c’è sicurezza alimentare.

La sicurezza alimentare è minacciata dalla perdita di insetti impollinatori e di fertilità del suolo derivanti dalla crisi ecologica. La capacità della Terra di fornire cibo nutriente a una popolazione in rapido aumento diminuirà sempre di più, gravata dal declino delle funzionalità degli ambienti naturali.

I cambiamenti climatici hanno già avuto degli effetti negativi sulla sicurezza alimentare. A mettere in pericolo le persone sono l’aumento delle temperature medie, il cambiamento nel regime delle piogge e la maggior frequenza e violenza dei fenomeni meteorologici. I cambiamenti nel clima negli ultimi anni hanno causato la diminuzione dei raccolti agricoli in alcune regioni e una maggior produzione in altre. I cambiamenti climatici hanno influito sulla sicurezza alimentare nelle terre aride in particolare dell’Africa e nelle regioni montuose dell’Asia e del Sud America.[46]

Gli effetti dei cambiamenti climatici si sommeranno e interagiranno con altri fattori di rischio come problemi politici e sociali. Un esempio di questa dinamica esiste nell’Africa occidentale. Nel Sahel[47] la desertificazione sta forzando gli allevatori a migrare verso sud con il loro bestiame in cerca di pascoli. I territori a sud sono abitati da agricoltori, a loro volta già in difficoltà per i cambiamenti climatici. Questi agricoltori vedono i loro campi distrutti dalle mandrie dei nomadi che vengono a pascolarci. Ci sono stati scontri di violenza crescente tra allevatori nomadi e agricoltori. Il livello di devastazione è stato tale che gli agricoltori hanno abbandonato fattorie e terreni per paura di rimetterci la vita. La produzione agricola è crollata e la sicurezza alimentare sia degli agricoltori che di coloro che dipendevano da loro è minacciata.

Le diminuzioni nella disponibilità di cibo che si verificheranno con un aumento della temperatura non di 1,5°C ma di 2°C saranno ovviamente maggiori. Via via che le temperature saliranno oltre i 2°C, i problemi aumenteranno. Le zone più colpite saranno nel Sahel, nell’Africa del sud, nel Mediterraneo, in Europa centrale e in Amazzonia.[46] Ci saranno diminuzioni nei raccolti di mais, riso, grano e altri cereali specialmente nell’Africa sub-sahariana, nel Sud-Est asiatico, nell’America centrale e meridionale.

Le produzioni agricole e gli allevamenti di bestiame diventeranno più difficili o addirittura impossibili in parti dell’Europa meridionale e del Mediterraneo a causa dei cambiamenti climatici.[48]

L’allevamento del bestiame risentirà dell’aumento delle temperature in vari modi. Gli impatti saranno proporzionali alle variazioni nella disponibilità di mangimi, alla facilità con cui si diffonderanno le malattie e alla riduzione di disponibilità di acqua potabile.[38] Ci sono anche prove scientifiche che i cambiamenti climatici modificheranno le malattie e i parassiti che potranno colpire i raccolti.[46]

Si prevede che i rischi per la sicurezza alimentare saranno alti se il riscaldamento sarà limitato a 1,2 - 3,5°C. Molto alti se si manterrà tra i 3 e i 4°C. Superare i 4°C sarà catastrofico.

Si aggiunga a tutto ciò che un aumento della concentrazione di CO2 farà diminuire le proteine contenute nelle piante commestibili più diffuse, rendendo il cibo molto meno nutriente.[3]

… la sicurezza idrica?

La sicurezza idrica si misura osservando la disponibilità di acqua, i volumi delle richieste e la qualità (livello di inquinamento) delle risorse idriche.

La crisi ecologica, manifestandosi come pressione sugli ecosistemi, provoca una diminuzione e un peggioramento delle fonti di acqua dolce. Per esempio: il fianco di una montagna disboscato non permette alla pioggia di infiltrarsi nel suolo e raggiungere i pozzi come acqua potabile. Un'area disboscata fa scorrere velocemente l’acqua in superficie, erodendo il suolo e arrivando al fiume a fondovalle sotto forma di fanghiglia imbevibile.

Circa l’80% della popolazione mondiale già soffre di problemi connessi alla sicurezza idrica.[3] È ormai chiaro che i cambiamenti climatici, alterando il regime delle piogge, possono avere effetti sulla disponibilità delle acque e minacciare la sicurezza idrica. In generale, la pioggia cadrà più abbondante nelle regioni tropicali e alle alte latitudini, mentre diminuirà in quelle sub-tropicali.[49] Nel 2017, circa 2,2 miliardi di persone non hanno avuto accesso a fonti di acqua potabile gestite in sicurezza. Più di 2 miliardi di persone sparse in tutto il mondo vivono in bacini idrici compromessi. In quei posti la domanda di acqua potabile supera del 40% la disponibilità. In alcune zone dell’Africa e dell’Asia c’è già bisogno del 70% di acqua in più per soddisfare le necessità locali.[3]

La mancanza di un accesso a fonti di acqua pulita crea anche problemi per la sicurezza alimentare perché essa serve primariamente per irrigare i campi. Il 70% dei prelievi di acque dolci è destinato a innaffiare piante commestibili.[3] Oggi circa 1,2 miliardi di persone vivono in aree dove gravi mancanze d’acqua e la siccità minacciano l’agricoltura. Nel corso dell’ultimo secolo, la domanda di acqua è cresciuta in tutto il mondo. Le cause di ciò sono l’aumento della popolazione, delle attività agricole e industriali e l’innalzamento degli standard di consumo. [3]

Le zone umide sono in costante declino in tutte le parti del mondo, mettendo a rischio la qualità delle acque, non più depurate dalla Natura.

… la biodiversità e gli ecosistemi terrestri?

Gli ecosistemi sono il supporto vitale del nostro pianeta a disposizione dell’uomo e di tutte le altre specie viventi. Nel corso degli ultimi decenni gli esseri umani hanno modificato velocemente e profondamente gli ecosistemi naturali. Queste trasformazioni del pianeta hanno portato benefici a una parte dell’umanità sotto forma, per esempio, di crescita economica e di un allungamento della vita media. Purtroppo non tutte le regioni e le persone hanno goduto di questi vantaggi, molti ne hanno invece ricevuto dei danni. Il costo totale dei benefici accumulati da alcuni sta diventando visibile solo adesso.[50] Gli avanzamenti economici, sociali e tecnologici sono avvenuti a spese della capacità della Terra di sostenere il benessere attuale e futuro dell’umanità.[3]

Come abbiamo già visto nella sezione dedicata alla crisi ecologica, oggi le specie si stanno estinguendo a una velocità da dieci a cento volte più rapida rispetto ai ritmi normali.[51][3] I cambiamenti climatici aumenteranno il rischio di estinzione per molte specie. Un aumento di temperatura sotto i 2°C basterà ad alzare il rischio di estinzione per il 20-30% di tutte le specie di piante e animali esistenti. Ovviamente questa percentuale sarà via via più grande al crescere del riscaldamento globale.[3] Hanno calcolato che oggi circa mezzo milione di specie ha a disposizione habitat insufficienti per garantire la propria sopravvivenza a lungo termine. Queste specie si estingueranno nell’arco di pochi decenni, se i loro habitat non torneranno disponibili.[3]

Con un riscaldamento globale di 2°C, circa il 13% di tutti gli habitat inizierà a trasformarsi in un tipo diverso di paesaggio. Per esempio dove oggi c’è una foresta pluviale potremmo trovare una savana. Questa trasformazione non sarà immediata, ci vorranno secoli prima che i nuovi habitat siano davvero funzionanti, con tutte le specie tipiche e necessarie. Non possiamo semplicemente “spostare tutto di qualche centinaio di chilometri”. Questo perché gli alberi crescono lentamente e i suoli hanno bisogno di decenni per modificarsi e adattarsi alle nuove condizioni.

Se il riscaldamento arriverà a 2°C si trasformeranno tra il 20 e il 38% degli habitat e questa percentuale arriverà al 35% a 4°C.[3][38]

C’è una buona probabilità che il riscaldamento globale farà spostare le attuali zone climatiche. Le zone a clima caldo nelle fasce tropicali aumenteranno in estensione,[52] si allungheranno le stagioni in cui c’è una maggiore probabilità di incendi e la diffusione del fuoco nelle zone stressate dalla siccità sarà più facile.[52]

Nel 2020 meno di un quarto della superficie delle terre emerse funziona ancora bene dal punto di vista ambientale, con la sua biodiversità in gran parte intatta. Questo quarto si trova in zone asciutte, fredde o montagnose e quindi difficilmente raggiungibile dall’uomo. Ha infatti una densità molto bassa di popolazione umana e ha subito pochissimi cambiamenti dal suo stato originale.[3]

… gli oceani e la vita marina?

Gli oceani ospitano un'ampia gamma di ecosistemi e una biodiversità che spazia dai microrganismi ai giganteschi mammiferi marini. Due terzi degli oceani soffrono oggi per danni causati dall’uomo. Le attività dannose includono la pesca superiore alle capacità di rigenerazione dei pesci, le infrastrutture costruite lungo le cose e al largo, la navigazione, l’acidificazione delle acque, lo scarico di rifiuti e la dispersione di nutrienti.

Nel 2015 la pesca ha sfruttato un terzo delle riserve di pesce oltre la loro capacità di riproduzione. Questo fatto, oltre a essere un problema ecologico, diventa anche una minaccia per la sicurezza alimentare. I fertilizzanti agricoli (dilavati dai campi e trasportati dai fiumi) che arrivano negli ecosistemi marini costieri hanno prodotto più di 400 “zone morte”.. Gli scarichi dei fiumi hanno distrutto la vita acquatica in più di 245 mila Km2, una superficie pari all’estensione dell'Ecuador o del Regno Unito.[3] Nel 2021 c'è stata una perdita da un impianto abbandonato per la produzione di fertilizzanti in Florida. Questa perdita ha innescato una fioritura algale che ha portato alla morte tonnellate di organismi marini.[53]

La plastica che inquina gli oceani è aumentata di dieci volte dal 1980 e oggi costituisce il 60-80% di tutti i rifiuti abbandonati in acqua. La plastica si trova in tutti gli oceani del globo, a tutte le profondità e le correnti oceaniche la concentrano in alcune zone. Questi rifiuti di plastica hanno un impatto ecologico notevole perché gli animali li mangiano o ci restano impigliati. I rischi di danni irreversibili agli ecosistemi costali e marini, comprese le praterie sottomarine e le foreste di kelp, aumentano con il riscaldamento globale.[3]

Al momento attuale, gli oceani assorbono circa il 30% di tutte le emissioni di CO2 e tutto il calore in eccesso proveniente dall’atmosfera. Questa funzione comporta il riscaldamento della temperatura dell’acqua marina. Dal 1993 a oggi la velocità alla quale gli oceani si stanno riscaldando è più che raddoppiata.[54] Il calore in eccesso causa la distruzione delle barriere coralline e l’estinzione di alcune specie marine. Le barriere coralline sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici e si prevede che si ridurranno al 10-30% del loro stato precedente con un aumento di 1,5°C. Se l’aumento di temperatura dovesse arrivare a 2°C, delle barriere coralline ci resterà meno dell’1%. Il restante 99% sarà stato perennemente danneggiato dal riscaldamento.[51] L’accumulo di calore negli oceani continuerà per secoli e avrà effetti sulla vita di molte generazioni future.[3]

Circa il 40% della popolazione mondiale vive entro 100 km (60 miglia) dalla costa. Circa il 10% vive in aree costiere che stanno meno di 10 metri sopra il livello del mare. I cambiamenti climatici faranno innalzare il livello del mare, che diventerà più caldo e più acido per via dell’assorbimento della CO2. Anche nell’ipotesi che il riscaldamento globale sia limitato a soli 2°C, le popolazioni di tutto il mondo dovranno comunque adattarsi ai cambiamenti che avverranno negli oceani. I cambiamenti e i costi saranno alti specialmente per le persone che vivono sulle coste.[54]

Molte specie marine hanno già cambiato il loro comportamento o la loro distribuzione geografica come risultato dell’innalzamento della temperatura dell’acqua. Questi cambiamenti hanno portato in contatto specie prima lontane, hanno creato disequilibri negli ecosistemi e hanno aumentato il rischio di diffusione di malattie.[54]

Molti cambiamenti dovuti alle emissioni di gas serra passate e future sono irreversibili per secoli o millenni. Questo è vero specialmente per i cambiamenti nella circolazione oceanica, nelle calotte di ghiaccio e nel livello del mare a livello globale.

  1. IPCC A.1
  2. 2.0 2.1 IPCC - Sixth Assessment Report
  3. 3.00 3.01 3.02 3.03 3.04 3.05 3.06 3.07 3.08 3.09 3.10 3.11 3.12 3.13 3.14 3.15 3.16 3.17 3.18 3.19 3.20 3.21 3.22 3.23 UNEP, Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, 2021, Making Peace with Nature, Executive Summary
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  24. 24.0 24.1 24.2 24.3 24.4 Three Decades of Climate Mitigation: Why Haven't We Bent the Global Emissions Curve?
  25. UNFCCC Conference of the Parties (COP)
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  32. EU 2030 Climate & Energy Framework
  33. UK enshrines new target in law to slash emissions by 78% by 2035
  34. 34.0 34.1 UN Emissions Gap Report 2020 - Executive Summary
  35. UNFCCC Full NDC Synthesis Report: Some Progress, but Still a Big Concern
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